Le criticità legate alle terre rare mettono a rischio la transizione ecologica

La digitalizzazione e la transizione ecologica oggi dipendono dalle terre rare, che però sono critiche da estrarre e gestire. 

Ogni giorno abbiamo inconsapevolmente a che fare con diverse terre rare. Sono presenti nei telefoni, nei computer, nelle automobili, nelle TV, nei pannelli solari e nelle turbine eoliche e in molti dispositivi utilizzati quotidianamente. Nell’era della twin transition digitale e sostenibile sono la chiave per accompagnarci verso un futuro decarbonizzato eppure la loro gestione è particolarmente critica e complessa. 

Cosa sono le terre rare? 

Le terre rare (REE, Rare Earth Elements) sono un insieme di diciassette elementi metallici, 15 lantanidi più lo scandio e l’ittrio, dalle proprietà simili. Reagiscono all’aria ossidandosi e all’acqua producendo idrogeno gassoso, ma reagiscono anche con altri elementi metallici e non, formando composti dai comportamenti chimici specifici, il che li rende fondamentali in molte applicazioni. Tra queste, c’è senza dubbio il settore delle tecnologie high-tech, protagoniste della digitalizzazione. Per esempio, l’itterbio è utilizzato per le tecnologie in fibra ottica e i pannelli solari, il lantanio nelle batterie, l’olmio nei magneti ad alta potenza, il lutezio negli scanner PET e così via. Date le numerose applicazioni nell’elettronica, nell’ingegneria aerospaziale, nel settore energetico, nei trasporti elettrici, nell’illuminazione e non solo rappresentano un ingrediente imprescindibile della transizione ecologica oltre che una presenza fissa nella nostra vita quotidiana. 

Perché sono materie prime critiche? 

I 17 elementi facenti parte del gruppo delle terre rare non sono in realtà particolarmente rari nella crosta terrestre. Piuttosto, allo stato di natura si trovano con molte impurità e per ottenere una piccola quantità di materiale puro è necessario lavorare molto materiale grezzo. Inoltre, non si trovano nei minerali, perciò non consentono di sfruttare i giacimenti minerari. Un problema di natura geopolitica è poi il fatto che si trovano concentrati in particolare in Cina. I tradizionali processi di recupero richiedono infatti molta manodopera e generano un inquinamento significativo. Perciò, negli anni ’90 la Cina è diventata il produttore dominante a livello mondiale, grazie a salari più bassi e leggi ambientali più permissive. 

Negli ultimi anni, l’estrazione di REE si è diversificata, coinvolgendo Stati Uniti, Myanmar, Australia e Thailandia. Tuttavia, questa diversificazione non si è estesa al resto della catena di fornitura.  Ancora oggi, infatti, la maggior parte delle REE estratte in altri paesi vengono ancora inviate in Cina per la separazione, la raffinazione e la produzione di magneti, consentendo alla Cina di continuare a dominare la catena di approvvigionamento. 

L’Europa è perciò ostacolata nell’ambizione di assumere il ruolo di leader della twin transition, dato che dipende dalle importazioni dalla Cina e deve quindi sottostare alla volatilità dei prezzi e delle disponibilità. Allo stesso modo sono in difficoltà gli Stati Uniti, che hanno completato studi che indicano che sono a rischio dal punto di vista economico, della sicurezza e della decarbonizzazione perché non hanno una fonte sicura di una serie di minerali critici, comprese le terre rare.